Essere mamme e aderire a uno shopping cruelty-free.
In questi giorni si parla molto, soprattutto sul web e sulla stampa, di argomenti legati ai problemi etici a cui il progresso scientifico e tecnologico ci mette di fronte.
A seguito delle rocambolesche vicende che hanno coinvolto gruppi di manifestanti animalisti ai cancelli dell’allevamento di Green Hill di Montichiari (BS), l’opinione pubblica si è vista nuovamente sbattere in faccia temi “scomodi” come la vivisezione e la sperimentazione animale.
La storia ormai la conosciamo: il 28 aprile un drappello di attivisti animalisti appartenenti a diverse associazioni ambientaliste, affiancati anche da comuni cittadini di ogni età ed estrazione sociale, si è riversato alle porte di “Green Hill”, un allevamento di cani di razza Beagle che ospita circa 2500 animali, destinati a diventare cavie per la ricerca scientifica. Alcuni dei manifestanti sono riusciti a entrare e a salvare qualche decina di cuccioli, le cui foto -alcune delle quali bellissime ed emozionanti, come questa a sinistra- hanno fatto il giro del mondo.
Sappiamo tutti, chi più chi meno, che ancora oggi la ricerca scientifica basa la parte finale del testing di un prodotto su cavie di laboratorio: non sono topolini, ma anche gatti, cani, cavalli, muli, quaglie, scimmie, maiali, pappagalli, conigli, criceti, pesciolini… se questo sia giusto o meno è una domanda che da anni ci poniamo, senza purtroppo trovare grandi risposte. Sarà anche vero che ad oggi non esiste alcuna tipologia di ricerca in vitro che possa interamente sostituire quella basata sull’uso di animali come cavie, ma è davvero anche necessario far morire i nostri amici pelosi fra atroci sofferenze, usandoli come “oggetti” invece che come “esseri viventi”?
Personalmente sono contro ogni tipo di sperimentazione su animali: probabilmente se nel 2012 l’uomo, lo stesso uomo che è stato sulla Luna e che ora pianifica l’esplorazione di altri pianeti, non ha ancora trovato un modo alternativo per proseguire con lo sviluppo della tecnologia medica, è solo per mancanza di impegno nel tentare strade nuove.
Oggi comunque non sono qui per discutere sui pro e sui contro della sperimentazione animale: sappiamo tutti che migliaia di vite sono state salvate grazie alla ricerca medico-scientifica, ma non è di questo che voglio parlare.
Accanto ai movimenti animalisti anti-vivisezione contro le multinazionali che finanziano studi e ricerche sugli animali, infatti, vi sono anche aziende pulite che sviluppano i loro prodotti in modo naturale e biologico. Queste aziende si sono viste riconoscere, negli anni, varie certificazioni come “amiche dell’ambiente”: la più nota è probabilmente la Cruelty Free stilata dalla LAV (Lega Anti-Vivisezione) e simboleggiata dal leaping bunny sulle etichette dei prodotti che sono conformi.
E qui veniamo all’argomento del discorso.
Care mamme,
scommetto che anche voi, come me, avrete la casa invasa da pannolini (probabilmente Pampers, frequenti in promozione o pacchi-convenienza), salviettine umide (magari Huggies, perchè si trovano quasi sempre in confezioni risparmio)… e poi gli altri immancabili: creme, cremine, lozioni, talchi, olii…
Se anche voi amate la natura e gli animali, però, vi sarete chieste se questi prodotti nascono attraverso procedimenti di sviluppo “puliti”. Non trovando nessuna etichetta che ne certifichi la provenienza, però, alla fine li avete comprati comunque.
A me capita ogni giorno: mi piacerebbe fare una spesa cruelty free per le varie necessità del mio bebè, ma su nessuno dei prodotti che compro abitualmente c’è alcuna indicazione in merito… anche perchè, se ci fosse scritto a lettere cubitali su una cremina, “testato su pelle di gatto vivo”, quante di noi effettivamente la comprerebbero comunque? Quanti dei prodotti di igiene per l’infanzia sono cruelty free?
Purtroppo, ben pochi in realtà.
La maggioranza dei pannolini più noti, ad esempio, sono prodotti da aziende appartenenti a multinazionali che operano in vari settori e che sovvenzionano direttamente o indirettamente la sperimentazione sugli animali. Alcuni esempi?
- Pampers: prodotti dalla Procter & Gamble, una multinazionale chimica americana divenuta negli anni una delle più grandi aziende di beni di largo consumo per famiglie, che fornisce detersivi (Ace, Dash, Swiffer, Viakal…), cura della bellezza (Gillette, Pantene, Wella…) e dell’igiene (Infasil, Lines, Tampax, Vicks, AZ…). La P&G è considerata uno dei colossi della vivisezione, visto che una larga percentuale del suo fatturato è destinata appunto alla ricerca sugli animali.
- Huggies e Pull-Ups: prodotti dalla Kimberly-Clark; attualmente questa multinazionale americana testa ancora una minoranza dei suoi prodotti sugli animali ma che, a seguito di una nuova regolamentazione interna datata Agosto 2009 (e nata in seguito a proteste della Greenpeace), si sta muovendo verso una produzione che sia il più pulita possibile.
- Mister Baby: prodotti inizialmente dalla SSL Healthcare, che nel 2010 è stata acquisita dalla Reckitt Benckiser; questa multinazionale inglese è nota per marchi come Veet e Clearasil, ed anch’essa fa parte di quella maggioranza che basa le sue ricerche su test animali.
- Johnson’s Baby: prodotti dalla Johnson & Johnson, multinazionale americana attiva anche in ambito farmaceutico e una fra le maggiori in campo sanitario. Purtroppo la sua politica aziendale prevede ancora un uso intensivo della sperimentazione animale; altri suoi marchi noti sono Neutrogena, Aveena, RoC…
- Babygella (Saugella): prodotta dalla Bristol-Myers Squibb, una multinazionale chimico-farmaceutica da anni oggetto di boicottaggio da parte di numerose associazioni animaliste a causa dell’uso della sperimentazione animale come metodo di ricerca.
- Nivea Baby: figlia della Beiersdorf Inc., multinazionale tedesca, la linea Nivea non è testata direttamente su animali ma lo sono i suoi ingredienti. La Beiersdorf (come la maggioranza delle altre ditte finora citate) afferma di non condurre alcun tipo di sperimentazione animale, ma ciò può essere condotto dalle aziende che lavorano per suo conto secondo quanto previsto dalla legge.
- Fissan: probabilmente la linea per la cura dell’igiene infantile più diffusa in Italia; è prodotta dalla Sara Lee Household, azienda americana che, seppur mantenga ancora attiva la pratica di ricorrere alla sperimentazione animale, ha recentemente lavorato assieme a gruppi e ricercatori animalisti per cercare di porre fine a questo tipo di ricerca.
In questo campo per fortuna ci sono un paio di nomi di grosso calibro: marchi come Helan, Bottega Verde e L’Erbolario offrono ormai da anni numerosi prodotti per la pelle dei bambini, dal cambio al bagnetto, certificati dalla LAV e riconoscibilissimi grazie al bollino con il coniglietto bianco. Ci sono inoltre altre marche, forse meno note e diffuse ma comunque validissime, come Bema Baby o Argital, che vale la pena imparare a conoscere perchè conducono una politica pulita in favore della natura e degli animali e propongono ottimi prodotti per la cura della cute dei bimbi.
Che dire……che schifo di mondo….Nestle’ no comment che delusione….Pampers idem. Purtroppo il mondo lo comandano i soldi….che schifo!
Bellissimo articolo! Unica cosa che ti correggo è che Bema esporta in Cina 🙂